Il 19 settembre è San Gennaro e il pensiero corre inevitabilmente alla città di Napoli, e con essa a uno dei miei scrittori preferiti.
Non è facile spiegare la mia passione per i libri del suo autore contemporaneo sicuramente più noto al pubblico.
Talvolta la popolarità è giudicata dai critici di professione con un po' di snobismo e con una bella arricciata di naso, facile cadere nello stereotipo del "vende molto, indi è poco colto, poco ricercato, buono un po' per tutti i gusti".
Maurizio De Giovanni - invece - ha saputo coniugare alla perfezione la tradizione popolare, la Napoli da cartolina povera ma felice, quella dei Quartieri Spagnoli già ben rappresentata dal grande Eduardo, con una scrittura moderna e contemporanea, che appassiona una larga fascia di lettori.
In nessun altro romanzo ho saputo apprezzare il racconto della preparazione di un cibo tipico o di una festa religiosa - coi suoi riti e le sue tradizioni - come in quelli di De Giovanni.
La carta vincente è il lirismo che mette, soprattutto, nelle descrizioni degli ambienti e nel tratteggio della personalità dei suoi protagonisti, così trasparenti, così verosimili.
La sua capacità di avvincere il lettore si è espressa al massimo con la serie del Commissario Ricciardi, che da "Il senso del dolore" a "Il pianto dell'alba" è una parabola umana bellissima, tragica e piena di speranza, inserita splendidamente in una cornice storica buia come l'epoca fascista, di cui ci viene descritta la miseria e brutalità.
Ma anche la serie dei Bastardi di Pizzofalcone ha ben saputo cogliere - nella sua modernità - lo spirito dei tempi, in una Napoli pericolosa, costantemente sull'orlo del precipizio, che vuole riscattarsi da degrado, malavita e povertà e vuole mostrare il suo lato migliore.
Di Sara Morozzi - e dei due romanzi Rizzoli che la vedono protagonista - apprezzo invece il cambio di passo che l'autore ha voluto imprimere, presentandoci un personaggio atipico, che sfugge agli archetipi e si nasconde, da se stessa, dal suo passato, dai suoi sentimenti: la città pericolosa e seducente rimane sullo sfondo, non viene mai nominata, né l'intreccio giallo prende il sopravvento sulla vicenda umana e personale della "Mora".
Infine Mina Settembre dell'ultimo "Dodici rose a Settembre", assistente sociale, sensuale, ribelle, pasticciona, incapace di leggersi dentro, di separare vita privata e lavoro, di darsi le priorità, forse di darsi un'occasione di amare dopo il naufragio del proprio matrimonio: mi aspetto molto da questa nuova serie, più scanzonata e ironica delle precedenti.
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