LA VOLONTA’ DEL MALE
Autore: Dan Chaon
Traduzione: Silvia Castoldi
Editore: NNE
Anno edizione: 2019
Genere: Thriller, Narrativa
USA contemporanea
Pagine: 478
Valutazione: 3,5*
Consigliato: a chi ha l’audacia
di affrontare a viso aperto il lato oscuro che alberga nel proprio cuore e in
quello di chi lo circonda
Cleveland, Ohio. Dustin Tillman è
uno psicologo che ha studiato a fondo il fenomeno delle sette religiose e degli
abusi rituali satanici.
Nel passato del protagonista c’è
un episodio drammatico, finito in cronaca nera: la sua famiglia, madre, padre e
zii, è stata sterminata dal fratello adottivo di Dustin, Russell Bikers detto
Rusty.
Rusty è stato condannato all’ergastolo
proprio grazie alla testimonianza di Dustin e a quella della cugina Kate. Solo
Waverly, gemella di Kate, non ha avvalorato la tesi dei due ragazzi – subito
fatta propria dalla procura – circa la colpevolezza di Rusty: la sua ricostruzione
degli eventi, tuttavia, è stata giudicata frammentaria e lacunosa, viziata
dallo stato di shock in cui la ragazzina si è rinchiusa nell’immediatezza dei
fatti e pertanto non le è stato dato nessun credito.
Del resto, il profilo psicologico
del giovane Bikers ne faceva un perfetto colpevole: orfano, padre sconosciuto,
madre tossicodipendente e dedita alla prostituzione, suicida in carcere, viene affidato
dai Servizi Sociali a una coppia misteriosamente deceduta, poco dopo l’ingresso
del ragazzo in famiglia, nel corso di un incendio doloso i cui responsabili non
verranno mai individuati.
Rusty, accolto dai Tillman, è un
adolescente schivo e ombroso: affascinato dall’occulto, se ne va a zonzo senza
combinare nulla, disegnando pentacoli, inneggiando al demonio e mettendo in
scena rituali macabri che terrorizzano il fratellino, emotivo e impressionabile
per naturale inclinazione.
“Dustin … da tempo aveva
l’abitudine di perdersi in ellissi, di annaspare in silenzi sempre più lunghi
alla ricerca della parola giusta, senza trovarla. Distratto, continuamente
distratto, forse al punto che qualcosa non andava nel suo cervello”.
Dopo circa trent’anni, grazie a
un’associazione che si batte contro gli errori giudiziari, il caso viene
riaperto e Rusty completamente scagionato. Uscito di prigione, il timore che
voglia ripresentarsi alla porta dei familiari e chiedere conto delle ingiuste
accuse mossegli da Kate e Dustin nel corso del processo è più che fondato.
Nel frattempo Dustin, da poco
rimasto vedovo e alle prese con due figli problematici, viene coinvolto in
un’indagine condotta da Aqil Ozorowski, ex poliziotto congedato per questioni
disciplinari. Aqil sta investigando su una lunga serie di sparizioni di giovani
studenti bianchi, trovati morti in corsi d’acqua non distanti dal luogo
dell’ultimo avvistamento. Molti di questi casi hanno in comune diversi elementi
che fanno supporre l’esistenza di un rituale nella loro preparazione e
successiva esecuzione: c’è un serial killer, individuale o collettivo, a piede
libero?
Quando anche uno dei figli di
Dustin sparirà, senza lasciare traccia, il passato e il presente, il dramma
personale sepolto nell’infanzia e quello delle famiglie dei giovani
misteriosamente spariti si intrecceranno, fino a condurre il protagonista a un
finale drammatico e multiforme.
Il romanzo si apre nel 1978 e
termina nel 2014, snodandosi su due distinti piani temporali che si
sovrappongono a più riprese: gli anni Ottanta, quando la famiglia Tillman viene
sterminata, e gli anni Duemila, quando Dustin ormai adulto affronta i traumi infantili
e le difficoltà del ruolo di padre e di vedovo. Anche l’Io narrante è mutevole:
il narratore esterno a tratti lascia spazio all’utilizzo della prima o della
seconda persona singolare, dando vita a un racconto corale, emotivo ed efficace.
Dustin sembra parlare con il
lettore che funge da interlocutore più che da semplice spettatore del suo
dramma:
“Ti senti osservato. Quella
sensazione fisica, scopaesthesia, si chiama: il formicolio sulla nuca quando
hai l’impressione che qualcuno che non riesci a vedere ti stia guardando.
Spesso viene descritta come una sensazione spiacevole, uno zampettare di
insetti millepiedi”.
E ancora:
“Esiste una parte del nostro
cervello, l’amigdala, che sa cose che noi non sappiamo, ma non è capace di
esprimersi a parole. Però è in grado di riconoscere il pericolo, ed è questo
che provai quando vidi la faccia di Rusty”.
La scrittura è asciutta,
incalzante, con numerose pause, omissioni della punteggiatura, ellissi e
interruzioni improvvise dei periodi (vere e proprie cesure soprattutto del
discorso diretto) volte a dare enfasi al flusso di pensieri che attraversa il
protagonista, dilaniandolo, lasciandolo disorientato, attonito di fronte alla
lenta presa di coscienza della profondità della tragedia che sta vivendo.
La volontà del male è un crime
complesso, con frequenti richiami alla psicologia, alle neuroscienze e
all’esoterismo ed è un affresco a tinte noir della provincia americana - l’Ohio,
il Nebraska e il Colorado - quella dei bianchi poveri e senza prospettive reali
di emancipazione dalle proprie miserie materiali, culturali ed esistenziali.
In questo senso travalica il
genere thriller e i suoi limiti, grazie alla prospettiva sociologica con cui
Dan Chaon tenta di dare un senso al fenomeno delle sette, dell’adescamento e
della manipolazione delle menti fragili attraverso l’uso di droghe che – a
partire dagli anni Sessanta e Settanta – ha fatto da filo conduttore di diversi
episodi di cronaca negli Stati Uniti, e non solo, e da cui sono scaturiti studi
e ricostruzioni giornalistiche, talvolta discutibili nelle premesse e
controverse nei risultati.
E’ infine un racconto allucinato
e senza redenzione sulle conseguenze del male come scelta di vita, sulla
molteplicità delle interpretazioni che possono essere fornite del medesimo
fatto storico e – in ultima analisi – sull’imperscrutabilità dell’abisso che
abita le coscienze quando non vengono illuminate dalla luce salvifica dell’amore.
Il libro in una citazione
“Raccontiamo continuamente una
storia a noi stessi, su noi stessi” aggiungeva. A volte faceva un gesto che
sembrava quasi un tocco, anche se in realtà di rado la sua pelle arrivava a
contatto con quella del paziente. “Ma possiamo controllare queste storie” proseguiva.
“Ne sono convinto! Gli eventi della nostra vita hanno un senso perché siamo noi
che scegliamo di darglielo”
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