Violette Trenet è la custode del cimitero di Brancion en Chalon, un piccolo centro della Borgogna. Vive sola nella casa annessa al cimitero stesso. E' stata abbandonata dal marito.
I suoi amici sono il parroco, i necrofori e gli impiegati delle locali pompe funebri.
Violette è una donna inconsueta, che ha una doppia vita: sotto agli abiti dalle tinte spente, seriosi ed adatti al suo ruolo, porta vestiti a fiori vivaci.
Le sue stanze private - a differenza del serioso ed impersonale locale aperto al pubblico - sono delle bomboniere tutte pizzi e colori pastello. Ed è pure una bella donna, sempre curata, coi capelli elegantemente raccolti. Ama il giardinaggio e gli animali, soprattutto i gatti abbandonati. Ha una parola di attenzione per tutti e tiene un registro in cui annota per sommi capi le cerimonie di commiato e i discorsi in memoriam, alcuni di poetica bellezza:
"Ho subito sentito la necessità di lasciare qualche traccia dell'ultimo istante perché niente andasse perduto. Quelli che non avevano potuto partecipare a causa del dolore, di un dispiacere, di un viaggio, di un rifiuto o di un'esclusione avrebbero trovato qualcuno che c'era stato e aveva testimoniato, raccontato"
Questa è - tuttavia - la seconda parte della vita di Violette.
La donna discreta ed elegante che gli utenti del camposanto - per così dire - conoscono, nasconde un passato da eroina di romanzo dell'Ottocento.
E' stata abbandonata alla nascita ed è vissuta tra case famiglia e coppie affidatarie. Si è legata da ragazzina a Philippe Toussaint, un uomo fragile ed inconsistente, un casanova da strapazzo, che ha sfruttato la sua innocenza ed in cambio di un po' di affetto ne ha fatto la propria serva. L'ha tradita continuamente e si è fatto mantenere. I due trovano un impiego da casellanti a Malgrange, paesino del nord est francese, nei pressi di Nancy, e passano alcuni anni crescendo la piccola Léonine, figlia adorata da Violette e - a modo suo - anche da Philippe. Sono, per entrambi, anni di inconsapevole felicità.
Violette impara ad amare grazie alla piccola Léo e all'incontro con Célia - la prima amica della sua vita - e lentamente colma i propri vuoti: reimpara a leggere insieme alla sua bimba, appassionandosi ai romanzi fra cui in particolare Le regole della casa del sidro di John Irving.
Un libro meraviglioso - dico io - che racconta la vita di un orfano in uno sperduto istituto della provincia americana: è evidente il transfer che Violette opera sul protagonista, Homer Wells, così come l'affetto che le suscita il personaggio di Wilbur Larch - il medico e direttore della struttura che adotta moralmente il ragazzo.
La morte della piccola Léo si abbatte sull'equilibrio instabile della famiglia e fa precipitare nell'abisso della disperazione i genitori. Violette e Philippe si allontaneranno irrimediabilmente: ciò che li aveva uniti - l'amore per la figlia - non esiste più. Anche la spasmodica ricerca della verità - al di là delle risultanze processuali - li porta a condurre indagini separate, quasi che fossero i protagonisti di due tragedie diverse. Solo la disperazione li accomuna.
Inizia la seconda parte dell'esistenza di Violette perché - suo malgrado - la vita è più forte di tutto, anche del peggiore e più intenso dei dolori; Sacha - il suo predecessore nel ruolo di custode del cimitero, dove riposa la stessa Léo - e poi Julien, che incontra tra le tombe mentre depone le ceneri della madre sulla lapide dell'antico amante, le faranno capire che esiste ancora un'occasione per essere felice e che con il dolore si può convivere quando questo - a tempo debito - si trasforma in un dolce struggimento.
La protagonista femminile mi ha inevitabilmente evocato quella de L'eleganza del riccio: ma a differenza di Renée, la Violette di Cambiare l'acqua ai fiori non è una donna che si nasconde dietro la sciatteria nel vestire e l'uso di un linguaggio molto al di sotto della propria cultura. Non ha paura del mondo e del giudizio delle persone, non accompagna i suoi monologhi interiori ad alcun pessimismo cosmico: ha perso tutto ma è diventata forte.
Violette ha imparato ad amarsi. Sa di avere un suo fascino: dismessi gli abiti della custode (quelli riposti "nell'armadio inverno") che indossa per i visitatori affranti, con chi la conosce intimamente è spiritosa, brillante e a proprio agio, come chi dopo il più grande dei dolori abbia deciso di non negarsi l'opportunità di amare.
"I rimpianti non durano a lungo, preferisco rievocare i bei ricordi, continuare a vivere con quel che di felice mi ha lasciato"La passione che mette nella cura del piccolo orto e dei fiori - seguendo attentamente le indicazioni del suo predecessore Sasha - diventa la metafora della vita che rinasce dopo il passaggio per il più inaccettabile dei dolori.
"Priorità del mese: innaffiare. Bisogna innaffiare perché la frescura si mantenga tutta la notte, e non troppo presto, sennò la terra è ancora calda e l'acqua evapora subito. Innaffiare troppo presto è come fare un buco nell'acqua"
Una scrittura delicata e femminile, molto coinvolgente, che tocca le corde più intime senza sentimentalismo. L'autrice racconta - di ogni personaggio - l'evoluzione, arrivando a modellare pienamente la complessità degli stessi, quasi a volerci suggerire che di fronte ad una tragedia ognuno ha il suo modo di elaborare la sofferenza: chi attraversandola per poi uscirne dandosi una nuova occasione, chi negandola e rimanendo irrimediabilmente avviluppato in una rete di recriminazioni sterili.
Il libro in una frase
"Bisogna che il buio aumenti perché appaia la prima stella"
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