Autore: Nicoletta Verna
Editore: Einaudi – Collana Stile Libero Big
Anno edizione: 2021
Genere: Narrativa italiana contemporanea
Pagine: 304
Valutazione: 5*
Consigliato: a chi ama le
saghe familiari, a chi è interessato ad approfondire il tema del disagio
psichico causato dalla mancata elaborazione del lutto
Bianca è una giovane donna
sposata a un medico, promessa della cardiochirurgia internazionale. Vive in uno
splendido attico che affaccia sulla “grande bellezza” di Roma e ha un lavoro
piuttosto banale presso una società di marketing e ricerche di mercato; il suo
pane quotidiano è sbobinare i resoconti degli incontri con i “Target”, i potenziali
destinatari finali dei prodotti.
E’ una ragazza della classe media
ed è originaria di un piccolo centro della Brianza operosa dove la vita è
circoscritta a casa, parrocchia, luogo di lavoro. Nel suo passato c’è un
trauma: la sorella Stella a soli quattordici anni è morta in un incidente
stradale mai chiarito, annegata in un canale dopo essere stata sbalzata dal
motorino, un sabato pomeriggio di pioggia battente.
Questo evento fa implodere la
famiglia: la madre, titolare di una lavanderia, si chiude ostinatamente in una “gabbia
di strazio”. Ingaggia un’estenuante lotta contro la depressione che la
condurrà a tentare ripetutamente il suicidio, talvolta con gesti dimostrativi, talaltra
con maggiore determinazione. Il padre abbandonerà la famiglia dopo l’ennesimo
episodio autolesionistico, per rifarsi una vita nella vicina Svizzera accanto a
un’altra persona.
Bianca cresce sola, si affaccia
all’adolescenza senza un vero sostegno, diventa una starletta della televisione
commerciale per far piacere alla madre sempre più inebetita dagli psicofarmaci.
In un primo momento sembra sprecare le indubbie potenzialità intellettuali di
cui la natura l’ha dotata, per poi decidere di lasciare il paese e trasferirsi
a Milano a studiare Biologia.
Nel cuore della protagonista
alberga il senso di colpa, l’assurda consapevolezza di essere stata
indirettamente la causa della morte di Stella, di avere – con i propri
comportamenti – dato il via ad una catena causale di fatti che ha condotto alla
tragedia:
“Non so se nelle circostanze
della vita c’è un momento esatto in cui qualcosa diventa inevitabile; il punto
di stallo fra il prima e il dopo in cui puoi dire ecco, fin qui sarei potuto
intervenire per cambiare il corso degli eventi, e da qui in poi non più. So
però che la ‘disgrazia’ ebbe un insieme di prodromi complessi, in apparenza
scollegati eppure perfettamente conseguenti l’uno all’altro, come una catena,
come i rifiuti che ogni giorno catalogo con cura”.
Bianca tenta di mettere un argine
tra sé e il malessere materno: lei stessa è preda di un dolore incommensurabile
che sfocia in manifestazioni di acquisto compulsivo, di ansia da controllo e di
pensiero magico sempre più gravi e pervasive. Il suo perfezionismo la isola, la
porta a maturare l’idea che l’unico modo per superare i propri demoni sia
riportare indietro Stella, concependola letteralmente a nuova vita con il
compagno Carlo – brillante uomo di successo capace di catalizzare le energie
positive di chi lo circonda - non a caso
definito “il patrimonio genetico” perfetto e “l’unico viatico per
ritrovare Stella”.
A scompaginare una volta ancora
il destino interviene la scoperta della sterilità che manda in corto circuito
il progetto di maternità: è l’inizio della fine, la caduta delle illusioni di rivincita.
Quella di Bianca è la storia di
un dolore perfetto e delle conseguenze che provoca – in chi rimane - lo “strappo”
che porta via l’essere amato. Ogni perdita è insensata per chi la subisce:
ma ve ne sono alcune più insensate di altre, meno accettabili nell’ordine delle
cose, e i fatti di cronaca quotidianamente ce lo ricordano.
Bianca – nella sua ossessione-compulsione
verso ciò che è “scarto” e “rifiuto” - incanala il malessere
derivante dalla presa di coscienza che tutto è destinato ad avere fine, a
decomporsi, a destrutturarsi come spazzatura nei bidoni della differenziata:
“Ho un’attrazione innata per
la necessità dell’uomo di espellere resti, scarti, avanzi, emissioni”
“Stendo un telo di plastica
sul ripiano prima di depositarvi sopra i rifiuti, uno a uno, ben separati.
Decido che la cosa migliore è catalogarli a seconda dell’odore, ovvero dello
stato di decomposizione. Li avvicino al naso e li annuso ... E’ l’odore della
vita quando la spogliamo del maquillage che le spalmiamo addosso per
edulcorarla”.
La scrittura in prima persona è
asciutta, suggestiva, chirurgica, con un uso molto misurato dell’aggettivazione
che mantiene vivo il senso di tragedia incombente.
La protagonista è cinica,
lucidamente conscia della propria follia, non pretende assoluzioni né cerca
redenzione: vive in un universo parallelo dove si confondono il presente e il
passato e in un’atmosfera sospesa e onirica, popolata dai fantasmi - con cui
intavola un dialogo interiore ininterrotto - visioni, premonizioni.
Il finale è poetico e aperto a
diverse soluzioni, a seconda della sensibilità di chi legge, e prefigura le
possibili scelte di Bianca: aprirsi al futuro o farsi definitivamente
fagocitare dal disagio mentale.
Nicoletta Verna in questa sua opera
prima (che le è valsa la Menzione Speciale della Giuria Premio Calvino 2020) ha
saputo affrontare il tema delle disfunzionalità della famiglia contemporanea
con abilità, grazia e quella giusta dose di distacco che poche grandi penne
hanno saputo utilizzare, da Veronesi a Philip Roth passando attraverso Le
Correzioni di Franzen.
E’ un libro che chiedeva di
essere scritto e che merita di essere letto.
Il libro in una citazione
“Continuo a pensare a chi se
ne va e a chi resta e al loro trait d’union più evidente: gli oggetti.
L’immagine più nitida della morte sono gli oggetti che le persone lasciano, con
quello che chiamano valore affettivo. Oggetti comprati nella convinzione che si
sarebbero usati. Oggetti che restano mentre tu te ne sei andato, beffardi
inutili oggetti crudeli che ti sopravvivono e ricordano la tua vita a chi
resta, stabili oggetti nel magma incomprensibile della memoria: per questo li
amiamo e insieme ne siamo atterriti”
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